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mercoledì 17 aprile 2013

CAPOBBANNA___FUJE TU

Rosalia Alpina 
 specie minacciata di estinzione, vive sulle montagne del Parco Nazionale del Cilento

Fuje tu è il primo disco dei Capobbanna, in uscita.
...e siamo [maybe] come certi insetti, lottiamo.

Il primo nucleo del gruppo nasce da un'amicizia: Sergio Scavariello e Angelo D'Ambrosio nel 2009 danno vita ad un laboratorio sonoro in una saletta homemade a Campora (Sa), fa freddo, manca tutto, ma si suona. Il progetto compie i primi passi con la demo mai pubblicata Fuje tu. Alla primitiva formazione si aggiunge nel 2011 il batterista Denis Citera, infine il bassista Antonio Cortazzo (Tony Laion). Fuje tu, il primo disco dei Capobbanna (già Akròama), è totalmente autoprodotto.
Difficile equivocarne la natura che ben si esprime nel nome stesso del gruppo: "capobbana", termine desueto del dialetto cilentano, ha una natura triplice potendo riferirsi tanto al “bannista”, ovvero colui che promulgava le notizie al popolo, tanto al leader della banda musicale, nonché al ruolo di trascinatore. Altrettanto significativo è il titolo dell'album: Fuje tu, alludendo all'inevitabile dissidio tra chi sceglie di partire e chi decide di rimanere nella propria terra [benché matrigna] è nello stesso modo un invito universale a non rinunciare, a non arrendersi e, naturalmente, a lottare. I testi spaziano tra tematiche politiche (Solo parole), urgenze sociali (Un uomo) e momenti di puro intimismo (Lassame ì e Dal mare) sintomatici di una fortissima attenzione alla crisi dell'individuo nell'individualismo dilagante, esprimibile anche sotto forma di ballata (Notte serena), romantica, pulsante, viscerale; ancora Nonna nunnarella è una filastrocca costruita sulla rilettura di un'antica ninna nanna che pone un ulteriore mattone verso il recupero e la ricerca di un significato profondo da attribuire alle origini. Le radici vivono nel sottosuolo dell'album, lo sostengono, nutrendosi della tradizione musicale locale, regionale e sovraregionale [leggibile così anche la presenza di una cover, la tammurriata E cantava le canzoni di Rino Gaetano] ma, tali radici, organicamente ambigue, contaminano quel sound di un'apertura che è un'aspirazione, un tentativo di svincolarsi dalla sedentarietà e dall'emarginazione di una terra impervia. Il disco si guarda intorno, si muove tra composite sonorità, parla molteplici lingue, si apre alle multiformi influenze musicali provenienti dalla così vicina, così lontana Napoli, accoglie le culture amiche [per altri nemiche] dei popoli che si affacciano sul Mediterraneo, e naturalmente rimane lì dove tutto è nato, in Cilento.



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Genere:
Electro/dub/rock

Membri:
Sergio Scavariello (voce)
Angelo D'Ambrosio (chitarra e tastiere)
Denis Citera (batteria)
Pasquale Palladino (basso)


lunedì 15 aprile 2013

TUTTI DEFUNTI...TRANNE I MORTI



Saranno in dieci / legati al nostro nome / uno ne rimarrà / non si sa come / e da quei nove morti / composti al cimitero / avrà luce il tesoro / e scoprirai il mistero / Tutto avverrà la notte maledetta / in cui la quercia antica / cadrà sotto la saetta

TUTTI DEFUNTI...TRANNE I MORTI
di Pupi Avati, Italia 1977
con: Gianni Cavina, Francesca Marciano, Carlo Delle Piane, Greta Vajan, Michele Mirabella

1950. Dante, trova finalmente un lavoro ricevendo l'incarico di vendere un libro ricavato dal manoscritto “Misteri, leggende e delitti dei Castelli Emiliani”; arriva nel palazzo dei marchesi Zanetti con due copie del misterioso volume. Il programma salta, la casa è in subbuglio per la morte del capofamiglia Ignazio, e per il susseguirsi di inquietanti delitti. Il goffo Dante e il tonto investigatore Martini sono gli ignari spettatori del teatrino di famiglia: una galleria di personaggi strampalati e grotteschi variamente legati da vincoli di sangue, minacciati dalla furia omicida di un misterioso uomo/nero con la voce stridula. Un nano, fissato negli anni nell'immagine di bambino prodigio; Donald, un omaccione con problemi clinici da masturbazione compulsiva, un'avida coppia di coniugi, la matrona di casa e il suo nuovo compagno appassionato di far west, la serva buffa, lo schizzato cameriere...e infine Ilaria, quantomeno incasinata. Tutti chiusi in un castello (che è quello di Carrobbio di Massa Finalese). Esiste situazione più classica di così per un giallo? Ma qui la situazione è montata a mestiere per essere smontata ad arte. 
Realizzato dal medesimo team e a un anno di distanza da La casa dalle finestre che ridono, ha una vocazione di fatto opposta perché così come nel film del '76 l'obiettivo era quello di cimentarsi nel territorio impervio e disseminato di trappole dell'horror in senso stretto, qui, lo scopo è non solo parodiare il genere e gli schemi consolidati dalla tradizione, ma tentare di ripensare se stesso come autore, stemperare la serietà della produzione cinematografica precedente. L'"horror padano" di Pupi si trasforma in dissacrante parodia, in divertissment, gioco, stemperando con abilità i pur numerosi momenti di suspance con invenzioni farsesche godibilissime. Come di consueto accade ai registi di genere horror (vedi ad esempio l'esperimento Per favore non mordermi sul collo di Polanski), anche Pupi cede al fascino della parodia, assecondando in realtà gli impulsi comici intrinseci e latenti creati dalle "situazioni" che veicolano la paura. Una delle peculiarità dell'horror risiede proprio nella precarietà del genere (vedi a tal proposito cosa dico qui), nel rischio di oltrepassare i limiti e sconfinare nello humor, nel trash, nello splatter; così, per mantenersi puri, gli autori sono costretti ad un autocontrollo serrato e alla pratica dell'onanismo stilistico. Qui troviamo invece un abbandono nel territorio proibito dall'horror che è un naufragio stilistico, e troviamo un ulteriore tassello nella ri/costruzione dello sconfinato repertorio di ataviche superstizioni e paure di cui è intrisa la cultura popolare dei contadini padani e romagnoli. L'ironia è lo strumento della libertà, a livello metafilmico e intellettuale, perché non c'è nulla che indaghi meglio e più in profondità di una grassa, grossa, sana risata. E poi lo humor è il fratellino piccolo e sveglio dell'horror, perché è con una risata che si stemperano o si acuiscono i peggiori spaventi. 
*E così se sei solo in una casa di due piani nella periferia di Urbino - città nuova per te, con un cimitero ebraico a pochi passi da casa, con la vicina che ama passeggiare sui tacchi alle 3 di notte e le porte in attesa di una radicale e profonda lubrificazione, cosa fai volpe? Ma ovvio, guardi film horror! E quale sarà il giusto contrappasso alla tua scempiaggine? Sentire una vocina che ride alle tue spalle mentre sei tutta presa dal gioco delle porte, neanche fossi la Kidman in The Others