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martedì 29 aprile 2014

Alfonso Gatto "in giro" sognando di volare


Da "L'Unità" del 31 dicembre 1983 || articolo pubblicato in occasione dell'uscita del libro di Luigi Giordano “Sognando di volare – Alfonso Gatto al Giro e al Tour” edito da “Il Catalogo” che raccoglieva gli scritti sportivi del poeta Alfonso Gatto.


[…] Per i compagni e i lettori più giovani, sarà bene ricordare che Gatto, poeta sensibile e dolce, uomo della Resistenza, e della generazione del Pratolini, del Gianni Puccini e del Giansito Ferrata, seguì per l'Unità, in una stagione di grandi battaglie, di speranze e di fiducia, due Giri d'Italia.
Il Paese era appena uscito dalla guerra a prezzo di grandi sacrifici e di immani distruzioni e pareva futile e di "scarso impegno" per uno scrittore, occuparsi di sport in tempi in cui urgevano ben altri problemi. Le conquiste democratiche non erano state ancora consolidate, si faceva letteralmente la fame e le discriminazioni anticomuniste erano davvero feroci.
La polizia di Sceiba, spesso sparava contro gli operai che reclamavano soltanto pane e lavoro. Gli strumenti di comunicazione di massa erano agli esordi: non c'era la televisione, si leggevano pochi libri e ancor meno giornali.
Ma il gusto della libertà ritrovata, dopo la dominazione nazifascista, era, per tutti, una specie di ubriacatura. In quella ubriacatura collettiva, rientravano anche le grandi sfide tra Bartall e Coppi, i due non dimenticati campioni del ciclismo.
Alfonso Gatto, insieme a quel grande giornalista sportivo che era Attilio Camoriano fu invitato allora da Ingrao, direttore dell'Unità, a scrivere per i lettori del giornale del PCI sul grande fenomeno del momento: il ciclismo. Ovviamente lo fece sempre da par suo. Allora, stare su una automobile con le insegne dell'Unità in mezzo ai «girini» e percorrere l'Italia da Milano alla Sicilia, significava anche ricevere l'abbraccio (in senso letterale e completo) e i fiori di migliala di compagni, che vedevano nel passaggio di quell'auto (sia detto senza retorica) la presenza del partito e il continuo riannodarsi di quel “filo rosso” che legava piccoli e grandi centri, le città, le campagne, i compagni operai ai compagni braccianti. Quell'auto, insomma, era un simbolo, una presenza «dentro» quello straordinario avvenimento che erano i Giri d'Italia Per questo abbiamo
scelto due degli articoli che Alfonso Gatto scrisse ogni sera, nel 1947 e nel 1948, scendendo coperto di polvere da quell'auto dopo aver macinato, per tutta la giornata, decine di chilometri in mezzo ai «girini», con i tecnici, passando tra due ali di sportivi e di compagni entusiasti.
Wladimiro Settimelli

In cima al Pordoi || Trento, 12 giugno 1947


Col fazzoletto legato sotto gli occhi come un bandito, Binda correva dietro Coppi per la discesa del Pordoi. Eravamo alla sua ruota.

In quei momenti la maglia rosa di Bartali a poco a poco si sfilava. Il Giro aveva rotto tutti i vincoli, aveva sciolto tutte le riserve. Era giusto che anche Binda volesse mettersi nella polvere la sua vecchia maschera di eroe. Sul Falzarego Bartali sembrava crepato. Quel pinocchietto di Fausto gli fece "ciao" con tutte le cinque dita aperte sul naso. La scalata al Pordoi visibile da rampa a rampa, con quel Coppi in cima che filava regolare, toccando a poco a poco il cielo con la schiena, e quel Bartali in basso che era ormai già chino a raccogliere i minuti della sua sconfitta ed a farsene un rosario, è stata per me che la vivevo in piedi, sul predellino della macchina,una vittoria degli occhi, delle mani, della bocca. 

La vittoria di Coppi è bellissima: questo era veramente "Il Giro" della mia infanzia. Lassù sul Pordoi quelli che con me hanno visto Coppi mordere vittoriosamente la strada inghiaiata, si sono sentiti per un attimo come sospinti nella vertigine. Tutti abbiamo udito parole incomprensibili, tutti ci siamo visti ridicoli e siamo stati contenti di esserlo e di dimostrarlo. La gara poteva dirsi ancora aperta, ma l'uomo che doveva essere il protagonista era già all'oscuro del terreno che ad ogni passo perdeva o guadagnava. Da allora, per tutta la strada, egli ha visto davanti a sé mani aperte ad indicargli e spesso a mentirgli, per incoraggiamento, i minuti del distacco; questa affettuosa pietà era per noi come una sferza. Chiedeva anche quanto distassero da lui i suoi inseguitori, uomini che fino ad ieri sembravano di un'altra razza. Se poi è riuscito a guadagnare qualche minuto, ha perduto il cielo e la terra che prima lo mostravano, come ai tempi delle vittorie, un punto rosa in vetta alle salite, un punto rosa nella valle come una nuvola di polvere. Ma io non mi rassegno alla sorte nella quale egli è finito con l'abbandonarsi. La sua immagine si è come cancellata, è come scomparsa nel gruppo: il campione rappezzava la propria maglia di verde, di viola, di rosso, di tutti i colori con cui la sorte cercava di vestirlo ora che era nudo. Coppi non sapeva nulla di questa grande tragedia che noi avevamo vissuto con i nostri occhi. Tragella se la covava con le ali aperte della sua giacca a vento; la macchina teneva dietro al suo passo sciolto; tutti seguivano lui: gli scatti improvvisi, le impennate furiose, i ghiribizzi nel seguire il ciglio della strada, le larghe discese su Ora che era al fondo della valle, ove un traguardo a premio ricordava Antonino Desiderato, il giornalista morto l'anno scorso alla sua prima scoperta del "Giro" in vista di Trento.

Belzebù ha fatto cadere Bartali || Viareggio 18 maggio 1948

Nelle prime ore del pomeriggio del 18 maggio 1948 - ricorda lettore - all'improvviso abbiamo visto scomparire il Giro, sotto il diluvio che sommergeva Pistoia. Qualche furgone pubblicitario colava a picco nell'improvviso fiume che correva ai margini della strada: tutta la carovana era scomparsa, perduta nelle nebbie. Soltanto un girino si era salvato: era rosso come il diavolo e correva, correva in una nuvola di vapore. Era Luciano Maggini, precipitato insieme ai fulmini e con le saette dalla cima della Porretta. Udivamo grida da una folla invisibile, che doveva esserci qualche minuto prima, entravamo dietro di lui in una città deserta. Lo seguivamo e come a tratti la sua fosforescenza ci faceva luce in quel mondo lugubre su cui stava scendendo una sera precoce. Il Giro aveva questa volta per traguardo l'Inferno: da quel diluvio universale non saremmo più emersi, certamente correvamo già sotto le acque, forse eravamo già morti e lui, Maggini, il diavolo rosso, ci portava via la nostra anima ancora inebriata dalla fulminea discesa della Porretta. Poi come le voci di richiamo che emettono i gondolieri quando voltano per i canali, si è udito un "oh" lungo, prolungato, e a quel grido, tre, quattro, cinque ombre sono balenate slittando tra due falde di acqua. Un'apparizione con loro: Coppi. Aveva regolato i suoi occhi e il suo saltellio di ranocchio proprio in mezzo all'acqua. Era pallido, verde, nel bianco fantasma della maglia.Scomparsi di nuovo. All'orizzonte erano ora due le maglie rosse, non più una. Maggini e con lui Bresci, staccatosi dal gruppo delle ombre e rivenuto a pescare il suo compagno all'Inferno. E Coppi? Non poteva che essere laggiù, nel cielo che improvvisamente si era fatto azzurro e dolce come la Versilia. C'è sembrato quasi di emergere dalle acque, aprendo il tetto della macchina in quel fruscio di alberi verdi e luminosi, che ancora tintinnavano di pioggia, sporgendoci a vedere Coppi che filava sull'autostrada, incerto tuttavia se resistere per il modo fulmineo e selvaggio come si era trovato solo quasi con l'aiuto dell'Inferno. Su di lui, a poco a poco, si sono ricongiunti tutti; sembrava che avessero bisogno di sentirsi vivere di nuovo insieme dopo che avevano visto il diavolo in persona, vestito da girino. Chi avrebbe ami detto, miei cari lettori, che in questa tappa scivolata via nel modo più stucchevole per trenta chilometri, Belzebù ci aspettava sulla Porretta? è stato lui, ve lo assicuro che ha fatto cader Bartali per la rabbia di averlo passare primo in vetta. Anche la primavera quasi balneare di Viareggio, è scialba e incolore per un uomo come me che si è salvato dalle acque. Mi sento grande e terribile come Mosè, e il giro è ormai una grande arca colorata dove dormiremo bene, questa notte, dopo essere andati al ballo insieme a quel giovanotto di Casola che sta già indossando, mentre vi scrivo, l'abito della festa. Domani per noi è domenica. Così è scritto sulla tavola della nostra Legge. 

Alfonso Gatto

Nella prossima puntata...cadrò sempre fino all'ultimo giorno della mia vita, ma sognando di volare.

mercoledì 23 aprile 2014

Giuliano Gabriele



GIULIANO GABRIELE
TARANTELLA DA ESPORTAZIONE
di: Serena Di Sevo

Una freddissima serata di primavera che ce n'è una ogni 10 anni. Si conclude così, con un batter di denti, l'Anteprima del Festival degli Antichi Suoni. Un festival che era stato aperto da un freddo altrettanto austero dall'etnomusicologo Mimmo Cavallaro, con il suo sound potente e raffinato, costruito sulla presenza di una materia misteriosa e ancestrale confluita nell'ultimo lavoro discografico Sacro et Profano. Un Festival che hai freddo ma non vai via, resisti fino alla fine. Dopo il concerto dei Kiepò, Angelo Loia e Marco Bruno, l'apertura dell'ultima serata è affidata al felice connubio di giovanissimi musicisti capitanati dal cantautore italo-francese Giuliano Gabriele che unisce da sempre alla passione per il canto tradizionale, lo studio di strumenti come l'organetto, la zampogna e il tamburo a cornice. La sua voce viscerale eppure classica che sembra rivendicare la riscrittura di una tradizione musicale che pur si vuole omaggiare, si arresta per dare spazio all'altro ospite della serata, Mimmo Epifani (lo intervisto qui), un "genio" del mandolino, che raggiunge la giovane formazione sul palco aggiungendo un momento di estro che è cristallina esperienza del mondo. Fa ancora freddo ma rimaniamo incollati a terra ad ascoltare il ritorno di Giuliano Gabriele, il cuore, l'energia, la passione di una formazione di musicisti che appartiene a pieno titolo al movimento di rinascita del folk italiano. E dopo tanto freddo, una sambuca e due chiacchiere. 


Partiamo da chi sei tu, Giuliano Gabriele.

Giuliano Gabriele più che un io è un noi...noi perché mi piace coinvolgere tutto il gruppo di musicisti con cui collaboro da cinque anni: Lucia Cremonesi, Eduardo Vessella, Gianfranco De Lisi, Gianmarco Gabriele e Giovanni Aquino, sono loro vicino a me l'anima di tutto il progetto, un progetto giovane, con una media di età che oscilla tra i 26 e i 27 anni. Inoltre per me è molto importante sottolineare il fatto che veniamo dalla provincia di Frosinone perché credo, e lo dico sempre, che è da quel lato lì che inizia il vero sud, dopo di noi tutto cambia: così quando andiamo a Roma ci prendono per napoletani, e quando andiamo a sud ci prendono per romani...siamo lì, sulla linea, dove inizia il sud. 

Parlami del vostro ultimo progetto “Tarantella Madre”.

Tarantella Madre è il progetto che prevede l'uscita di un disco a settembre in cui riprendiamo in considerazione tanti testi della tradizione del sud e in cui proponiamo anche delle cose originali tra cui un pezzo in italiano dal titolo “Tarantella Madre” che è forse la proposta più difficile da fare all'interno del nostro genere musicale...non è una cosa semplice.

Un progetto che prova a modernizzare e in qualche modo a sporcare la musica popolare pura. E così? Perché?

Parte un po' dalla nostra curiosità di esplorare la world-music in generale e dalla passione che abbiamo nei confronti della musica nei suoi diversi generi e questo si sente quando suoniamo perché c'è sempre un po' di rock un po' di jazz un po' di blues, world, mediterraneo...

Secondo te qual è la strada che dovrebbe intraprendere la musica popolare nel tempo, andare sempre più indietro alla ricerca delle origini oppure cercare di trattare in modo diverso le sonorità e i temi della tradizione?

Credo assolutamente che le due cose vadano a braccetto...la continua ricerca sui testi, sulle filastrocche e sulle origini è importante per poter intervenire con la propria sensibilità e andare a contaminare la tradizione con la modernità. Deve essere una ricerca che va nelle due direzioni, sia avanti che indietro...non sono assolutamente d'accordo con la posizione di chi ritiene che la musica popolare debba essere una cosa da puristi e sono sicuramente per la sperimentazione e la ricerca, una ricerca che però deva essere fatta con criterio e con attenzione...tanto più in questo momento storico in cui esiste un vasto movimento di riscoperta che porta moltissimi giovani musicisti ad interessarsi agli antichi strumenti come l'organetto e la zampogna per esempio, strumenti che erano scomparsi e che venivano suonati esclusivamente da persone anziane. Ora invece sono moltissimi i giovani che si approcciano al genere in modo professionale. Tutto questo è il segno di un cambiamento in atto che porterà sicuramente il genere in avanti, un cambiamento che si vede, che si sente nella passione e l'interesse che esiste intorno al genere, la voglia di ballare, di ascoltare, di partecipare...

Tu sei insegnante e direttore di festival, oltre che musicista e cantante, ma hai avuto anche esperienze di teatro che peraltro traspaiono dal modo in cui gestisci la tua presenza sul palcoscenico...

L'esperienza col teatro è stata un'esperienza bellissima che mi è capitata un po' per caso e che mi ha dato la possibilità di fare una tournée con artisti importanti...sicuramente ha lasciato il segno, anche perché mi piace immergermi completamente nella musica quando sono sul palcoscenico, ma è qualcosa a sé che non so se rifarò mai in futuro. Sono insegnante, faccio dei corsi di musica, ma sono soprattutto un musicista: la parte più importante del mio lavoro è l'esperienza live. Anche i festival sono entrati nella mia vita e sono per me molto importanti...ho la direzione artistica di alcuni festival in provincia di Frosinone alcuni dei quali sono cresciuti molto nel tempo, per esempio il “Tarantelliri”, che negli ultimi anni ha iniziato ad affermarsi a livello nazionale...se ne parla e soprattutto la gente partecipa! Sognavamo di portare a Frosinone un po' di Salento e un po' di Calabria che accolgono questi festival incredibili dove si balla fino a notte fonda...direi che ci siamo riusciti.

Cosa puoi dirmi dei vostri progetti futuri?

L'uscita del disco è prevista per settembre. Il disco è parte di un progetto in cui credo molto e che è stato pensato anche per una promozione all'estero. Io sono sempre stato attratto da questi grandi festival che esistono in giro per il mondo e che funzionano davvero molto bene; in Italia facciamo ancora molta fatica a stargli dietro, un po' per le difficoltà economiche un po' per altri fattori, ma io sogno di portare questo spettacolo in giro per l'Europa, portare lì la nostra musica nazionale...la tarantella! Tecnicamente la tammurriata, la pizzica e la tarantella vengono distinte, però nella mia testa sono un'unica cosa e vorrei portarle in giro chiamandole così: è la tarantella, la nostra musica nazionale.

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Festival Tarantelliri: Pagina ufficiale

venerdì 18 aprile 2014




Mimmo Epifani
Mandolinate on the road
di: Serena Di Sevo 


È la notte del 13 aprile 2014. Si è appena concluso il concerto di Anteprima dell'ormai storico appuntamneto estivo con il Festival degli Antichi Suoni nel borgo medievale di Novi Velia in provincia di Salerno. L'esibizione di Mimmo Epifani, unitamente all'uscita del suo nuovo disco “Pe I Ndò” è l'occasione per scambiare due chiacchiere con il virtuoso del mandolino e della mandola nato a San Vito dei Normanni, paese in cui si presume sia nata la pizzica e la taranta, che a partire dalla passione per le tradizioni popolari ha creato nel tempo un sound composito e moderno, contaminando il suono del mandolino con esperienze musicali diverse: jazz, raggae e ritmi ska e diventando musicista internazionale con una forte tendenza all'indipendenza e all'esplorazione musicale. Sempre in viaggio, Mimmo Epifani ha collaborato con Roberto De Simone, Eugenio Bennato, Ambrogio Sparagna, Acquaragia Drom, Navegante, Avion Travel e negli ultimi anni tra i principali protagonisti della Notte della Taranta.

Parliamo innanzitutto di te. Sei pugliese, ma sei un viaggiatore, un esploratore di culture diverse. Chi è Mimmo Epifani?

Non sono un viaggiatore di natura ma è stata la musica che mi ha portato a viaggiare e soprattutto il mio strumento, il mandolino, che mi spinto a farlo conoscere in giro per il mondo, insieme allo spirito, alla curiosità di conoscere posti nuovi, cibi nuovi, sapori. Uno strumento ti spinge a vivere esperienze sempre nuove, ad incontrare persone, musicisti che poi porti con te quando torni a casa...Se mi trovo in Marocco penso: “Chi ci ritorna più in Marocco?”. E allora faccio la mia musica e ci metto un po' di Marocco dentro, per ricordarmi di quel viaggio, di quell'esperienza. 

Il tuo ultimo lavoro discografico si chiama “Pe I Ndò”. Raccontaci come è nato, del suo significato.

Il disco parla del viaggio, del partire e del ritornare, della viandanza, delle radici, dell'appartenenza. Il titolo viene da una poesia del mio caro amico Raffaele Marchetti a cui ero molto legato e che purtroppo non c'è più. “Pe I Ndò” significa “per andare dove” ed è la domanda che Raffaele poneva ai ragazzi che vedeva partire, lasciare la propria casa alla ricerca di un lavoro o per inseguire un sogno. Ma per andare dove? Si chiedeva Raffaele, perché andate là quando qui a casa vostra potete fare delle cose? Il disco è stato registrato nel paese di Raffaele, Giulianello.

Spiegaci come lavori. Ti senti più uno studioso, un ricercatore o un musicista d'ispirazione?

Io non nasco come un compositore, credo che nessuno nasca compositore, io nasco come musicista, anzi, come un allievo barbiere: ho impararto a suonare il mio strumento in una barberia a San Vito dei Normanni in provincia di Brindisi, dove si tenevano lezioni di mandolino ma anche di chitarra e fisarmonica dai maestri Costantino Vita, barbiere e musicista, e "Maestro" Peppu D'Augusta. Ero andato da questo barbiere per imparare un mestiere e ho appreso le canzoni e le melodie che accompagnavano il lavoro, però erano delle musiche specifiche, che si suonavano solo in quel contesto, e che creavano un'arte dal repertorio molto limitato. Ecco...solo dopo aver appreso quell'arte, ho cominciato a comporre.

Quale credi sia il futuro della musica popolare? Che strada dovrebbe prendere? Cercare nuove strade, nuovi temi, o andare sempre più indietro radicalizzando così la sua vocazione “archeologica”?

Più che della musica popolare io parlerei delle strade che devono prendere i musicisti per creare questa magia. Dovrebbero prima imparare come si suona e come si suonava originariamente uno strumento, dovrebbero andare dalle persone anziane, vedere come vivono, capire come vivevano e solo a questo punto presentare la loro esperienza su un palco con le dovute contaminazioni della modernità. Questa è la strada della musica popolare. Ormai prendiamo spunto dai balcani, spunto da qua e da là ed è un gran macello. Ricercare le proprie origini è fondamentale per i musicisti che si avvicinano a strumenti tradizionali come la chitarra battente, l'organetto o il mandolino. Non bisogna necessariamente rimanere ancorati all'utilizzo dello strumento così com'era nell'800, come non possiamo parlare un dialetto o una lingua che si parlava 200 anni fa e non possiamo vestirci come 100 anni fa, semplicemente bisogna avvicinarsi al passato e agli strumenti tradizionali con rispetto.

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martedì 8 aprile 2014

Il Premio Internazionale di poesia Alfonso Gatto



Da La Mandragola dell'8 aprile 2014

...e nulla c'è che mi distolga dal credere ancora oggi che la terra e gli uomini abbiano bisogno d'essere amati dal mio sguardo, suscitati nella terra, forti, vittoriosi nella splendida materia delle parole. Le polemiche, le definizioni mi hanno lasciato intatto il mio brusco modo di sentirmi vivo e di riconoscere la poesia con franchezza, come un fatto, come una cosa.
Trenta, e andrebbero festeggiati: sono gli anni del prestigioso appuntamento salernitano “Premio Internazionale di Poesia” che, organizzato per la prima volta quest'anno dalla Fondazione Alfonso Gatto con il Lions Club “Salerno Hippocratica Civitas”, si avvia ad essere un'edizione che ha tutti i requisiti per riuscire come l'anno zero del Premio stesso. Costituita nel 2011 per iniziativa degli eredi del grande poeta salernitano per diffonderne l'opera, specialmente minore, attraverso la curatela di editi e inediti e attraverso la promozione di iniziative culturali, laboratori di scrittura, laboratori per songwriter, progetti per le scuole, teatro, etc., la Fondazione Alfonso Gatto si propone l'ambiziosa finalità di promuovere autori inediti e opere prime e diventare un punto di partenza per una nuova stagione della poesia italiana contemporanea, provando a accrescere sempre più il prestigio del Premio, che rappresenta ad oggi il più importante del meridione, e che ha negli anni riconosciuto l'opera di grandi poeti contemporanei come Edoardo Sanguineti, Corrado Calabrò, Luciano Luisi, Dante Maffia, Maurizio Cucchi, Giuseppe Conte, Davide Rondoni, Paola Mastrocola.
Il poeta. “Voglio che la poesia sia la sola a dire chi sono, come sono vissuto e perché, e con la naturalezza che le è propria”. Nato a Salerno il 17 luglio 1909 da una famiglia di origini calabresi di marinai e armatori. La sua infanzia e l'adolescenza vennero segnate dal dolore per la perdita del fratello Gerardo e da difficoltà economiche che gli impedirono di portare a termine gli studi (si era iscritto alla facoltà di Lettere di Napoli). Ebbe una vita irrequieta e avventurosa trascorsa in continui spostamenti e nell'esercizio di molteplici lavori. Dapprima commesso di libreria, in seguito istitutore di collegio, correttore di bozze, giornalista, insegnante. Fin dal suo esordio narrativo nel '32 con l'Isola, /universo che mi spazia e m'isola, poesia/ Gatto ebbe come riferimento imprescindibile L'Allegria di Ungaretti, ma divenne voce di un dire dalla forte vocazione politica, che unitamente alla concezione della poesia come strumento di conoscenza di sé e di analisi della realtà storica, lo portarono a farsi “cronista della storia delle vittime”. Nel 1936, a causa del suo dichiarato antifascismo, venne arrestato e trascorse sei mesi nel carcere di San Vittore a Milano. Nel '43 aderì alla Resistenza e al Pci da cui uscì nel 1951 in forte polemica. Nel dopoguerra, Gatto attenua il simbolismo e l'ermetismo che avevano caratterizzato gli anni precedenti in favore di un canto che si abbandona ad un realismo visivo e popolare. Collaboratore dopo il trasferimento a Milano di molte riviste di avanguardia come “Ruota”, “Primato”, “Circoli”, “L'Italia Letteraria” e fondatore nel 1938 della rivista “Campo di Marte” con Vasco Pratolini, fu inviato speciale de “L'Unità” per cui seguì insieme ad Attilio Camoriano due stagioni (del '47 e del '48) del Giro d'Italia. Autore di moltissimi scritti e protagonista di momenti importanti della cultura del nostro paese morì nel 1976, a 67 anni, dopo essere rimasto gravemente ferito in un incidente stradale nei pressi di Orbetello. Le sue più importanti raccolte di poesie sono: Isola (1932), Morto ai paesi (1937), Poesie (1939), L’Allodola (1943), Amore della vita, Rosa e ballo (1944), Il sigaro di fuoco (poesie per bambini, 1945), Il capo sulla neve (1949), Nuove poesie (1950), La madre e la morte (1950), La forza degli occhi (1954), Poesie (1961), Osteria Flegrea (1962), Il vaporetto (poesie per bambini, 1963), Desinenze (1977). Tra i premi, il Viareggio nel 1966, per La storia delle vittime.
Della sua città scrisse: Salerno, rima d'inverno, / o dolcissimo inverno. /Salerno rima d'eterno.../
Serena Di Sevo




Il bando. Il premio si articola in due 
sezioni: Sez. A – Opera Prima di Poesia e Sez. B – Autore inedito. Per la Sez. A, Opera Prima di Poesia si concorre inviando una raccolta poetica, di autore italiano
o straniero, scritta in lingua italiana e pubblicata dopo il 1 gennaio 2013. Le opere, in numero di 6
 copie, dovranno essere accompagnate da una dichiarazione di partecipazione al
 Premio con firma autografa, indirizzo e telefono. Il vincitore riceverà un premio di €
1.000,00 (euromille/00).
Per la Sez. B, Autore inedito, si
concorre inviando una raccolta inedita di poesia in lingua italiana
composta da almeno 10 liriche. La raccolta vincitrice verrà pubblicata a cura delle edizioni del “Premio
Alfonso Gatto” e all’autore sarà attribuita una borsa di studio per un percorso formativo.
La partecipazione comporta la
compilazione di un Modulo di iscrizione ed il versamento di una
quota di iscrizione. La quota di iscrizione per testi con numero di battute inferiore o uguale a
seicentomila, spazi inclusi, è di € 30,00 (euro trenta/00). La ricevuta del pagamento della quota di
iscrizione dovrà essere inviata in forma cartacea o in formato digitale all’indirizzo di posta premio@alfonsogatto.org.
L'autore dell'opera prima può aver 
pubblicato, e partecipare con essa, una sola “opera prima” di poesia in
forma di libro autonomo, sia cartaceo che e-book, presso case editrici a distribuzione nazionale e
locale. L’autore deve essere in possesso dei diritti sull’opera presentata.
 Le opere devono essere inviate entro e non oltre il 31 maggio 2014.

Saranno ammesse al giudizio della 
Giuria le opere selezionate dal “Giuria di lettori” Gatto. Il libro del
 vincitore, inoltre, sarà munito di una fascetta recante la scritta
 “Vincitore Premio Alfonso
Gatto”.

La Giuria del premio, il cui giudizio
è insindacabile, è composta da 5 membri, scelti dall’organizzazione
del “Premio Alfonso Gatto” (Davide Rondoni – Prof. Dante Maffia– Nicola Vacca – Prof. Luigi Reina Presidente: Prof. Francesco De Piscopo)
Tutti i partecipanti non potranno
essere rappresentati da un agente. Tale condizione deve permanere
dal momento dell’inizio del concorso fino alla Cerimonia di premiazione.

I nomi dei Finalisti verranno resi
noti dieci giorni prima della Cerimonia di premiazione che si
terrà a Salerno entro il 10 luglio
 2014.

Nel caso in cui, per cause
tecniche, organizzative o di forza maggiore, non fosse possibile, in
tutto o in parte, uno svolgimento
del Premio secondo le modalità previste, l’organizzazione del
Premio Alfonso Gatto prenderà gli opportuni provvedimenti e ne darà comunicazione attraverso il sito
www.alfonsogatto.org
La modulistica e tutto ciò che
 concerne l’invio delle opere e il versamento si trova sul sito
www.alfonsogatto.org nella
sezione dedicata al “Premio Alfonso Gatto”.
La partecipazione al Premio 
comporta l’accettazione e l’osservanza di tutte le norme del
 presente regolamento.
Scadenza: 31 maggio.