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giovedì 28 febbraio 2013

SEI GRADI DI SEPARAZIONE

W. Kandinsky "Several Circles" 1926
Se il mondo è piccolo, quanto spazio c'è tra me e l'abitante della mela nel cestino della frutta in casa di Pedro Alonso Lopez? Secondo la teoria dei "sei gradi di separazione" sono appunto 6 spazi, 6 passi, 6 persone. Dopo l'invenzione di facebook i tempi si sono accorciarti ulteriormente: 3 passi. Ora, è chiaro che io non ho nessuna voglia di mettermi in contatto con un killer seriale colombiano, ma se invece volessi cercare di raggiungere a tutti i costi qualcuno che ho perso o qualcuno che ancora non ho incontrato? Facile! Basta trovare le sei persone giuste ed il gioco è fatto...
La vita può banalmente ridursi ad una coincidenza o ad un'occasione; l'occasione va cercata e deve, a quanto pare, necessariamente passare per l'inganno: basta scegliere la propria vittima, il portone a cui bussare e procurarsi una chiave passe-partout.

SEI GRADI DI SEPARAZIONE
di: F. Schepisi, 1993

Flan e Ouisa nel loro chic appartamento stanno concludendo l'affare che gli cambierà la vita. Bussano alla porta. Chi è? Eccolo lì: Paul l'incantatore, l'impostore. Scusatemi, sono ferito, mi hanno derubato, hanno preso i miei soldi e l'unica copia esistente della mia tesi di laurea...Conosco i vostri figli, ci frequentiamo ad Harvard, loro vi adorano, sono dei ragazzi fantastici. Bene. Rimani con noi, mangiamo qualcosa, prendi un po' di soldi e, giacché ci sei, portati a letto (nel letto della nostra bambina) una marchetta. Oh mio Dio, poteva ucciderci o peggio derubarci! Ma no. Paul voleva solo un po' di compagnia, vivere, e, per una notte, sentirsi ricco e protetto. Dopodiché scompare. Per trovarlo bisogna trovare i 6 collegamenti.
 Cos'hanno in comune una coppia di mercanti d'arte in procinto di comprare un Cézanne per 2 milioni di dollari per poi rivenderlo per 6 e un ragazzo nero, gay, solo e povero che dorme al Central Park? No, la risposta non è niente. Anzi. I collegamenti sembrano così ovvi che ai due iniziali personaggi, come accade sulla ribalta, se ne addizionano altri ad un ritmo vertiginoso e perfettamente naturale. L'eco dell'episodio si propaga come la peste nei salotti di New York trascinando i coniugi da un chiacchiericcio all'altro, avviluppati nella estenuante ripetizione degli aneddoti della vicenda. Ogni persona in più aggiunge ipocrisia e inverosimiglianza alla vicenda; ogni personaggio aggiunto allontana Ouisa dalla verità di un rapporto potenzialmente sincero con Paul. La bassa separazione esistente fra gli individui, la facilità dei collegamenti, hanno un effetto alienante e dispersivo. Tutto è possibile. Ma tutto rimane potenziale. I rapporti sono tanto più falsi quanto più si presumono veri. L'unica cosa vera è stato Paul, con la sua immaginazione, con un falso super-papà (Sidney Poitier) e con il piatto di spaghetti ai peperoni. Si può scegliere l'una o l'altra via. Fingere di essere qualcun altro per immaginare la verità ed indagarne le possibilità, oppure essere se stessi interpretando una parte eternamente falsa come i rapporti reali impongono. L'arte sta ancora cercando una soluzione. Cos'è il realismo? Una rappresentazione fedele della realtà? No, quella è conservazione dell'esistente. Il realismo prevede un'indagine e per indagare ci vuole immaginazione.
In questo film c'è troppo. Paradossalmente è questo il suo limite. Non c'è una sola chiave e non c'è un solo portone. E quei 6 passi non bastano a colmare il vuoto.

lunedì 11 febbraio 2013

FUNNY GAMES US

di Michael Haneke, 2007
Morirai, ma non puoi sapere perché.

Notte insonne. Non ci vuole molto, lo riconosco. Di solito ci riescono bambine con gli occhi da cerbiatto, ragazzine acrobatiche, presenze nascoste sotto il letto e tutto ciò che avviene in un'automobile (chi, come me, guida spesso in solitaria per strade deserte, capirà). Ma questa particolare notte è stata davvero una novità; panico totale. Il caso vuole che per la prima volta da quando possiedo un cellulare e su suggerimento di mio padre (...) decido di spegnerlo prima di andare a dormire. Dopo pochi minuti di sonno, mi sveglio in preda al panico, cerco il cellulare, più che altro una fonte luminosa...premo un tasto a caso...nulla. L'unica cosa che riesco a vedere nel buio, nell'arco dei pochi istanti che mi separano dall'interruttore della luce, è un ragazzo con la faccia da schiaffi, tutto vestito di bianco intento a giocherellare con una pallina da golf, vuole uccidermi, è chiaro.

Funny games US, 2007. Lo avevamo già visto nel '97: il titolo è lo stesso, il film è lo stesso; non c'è innovazione né nella trama né nella sostanza, persino il regista è lo stesso. Ma stavolta l'intenzione è quella di farsi notare, di non passare inosservati e "arrivare" al grande pubblico americano. Prima regola: farsi aiutare da qualche star...come Naomi Watts.
Una famiglia tranquilla parte tranquilla per una vacanza tranquilla nella tranquilla villa sul mare tranquillo. Tranquilli, state per morire.
Ma perché? E perché ha importanza? Quando hai paura, hai paura. Quando pensi che appena girerai l'angolo qualcuno ti colpirà alla testa con una scure, non ti interessa affatto il perché, al massimo puoi augurarti che non ti faccia troppo male...Tanto tu lo sai che l'unica cosa che interessa al tuo omicida è terrorizzarti, e nel portarti alla follia totale, magari riuscire ad ammazzare il tempo, farsi due risate. Ed ecco il gioco: uno se ne sta tranquillo a casetta, a preparare la cena o a strisciare dalla sedia al divano e dal divano al letto (e viceversa) e improvvisamente ti arriva uno che vuole delle uova. Ma per romperle. Haneke porta alle estreme conseguenze il discorso sull'horror. Cosa realmente ci spaventa? Un mostro bruttissimo che urla in modo disumano al nostro indirizzo? Uno zombie che perde un piede mentre cammina e che ti guarda in modo ambiguo dalla sua pupilla penzolante? O basta un ragazzo carino ed educato con gli occhi celesti e i capelli biondi (l'ipocrisia dello spettacolo si manifesta anche così, non conta quanto "cattivo" sia il racconto della tv o del cinema, l'importante è che il narratore sia "cool")?
La paura si trova dietro l'angolo della quotidianità, perché ciò che ci spaventa è perdere le nostre certezze, ciò che ci terrorizza è scoprire che la nostra vita e tutto ciò che sappiamo è solo apparenza, sogno. Noi uomini non abbiamo nulla in comune con gli animali (si diceva ieri a cena). Sono d'accordo. L'horror è uno degli elementi che separa l'uomo dal mondo animale. L'animale non terrorizza per terrorizzare, non si diverte, è crudele per necessità. L'animale scappa perché ha paura di morire, vuole salvarsi. L'uomo crea la paura e la usa per interrogare l'universo; l'uomo terrorizza  per terrorizzare, è crudele per volontà, ma è terrorizzato da se stesso, impaurito dalla paura stessa, quell'elaborata paranoia costruita sul lato irrazionale del pensiero. Siamo terrorizzati dall'irrazionale, ma irrazionalmente gli andiamo incontro, come sempre fanno le ragazze sceme nei film quando sentono un rumore in soffitta.

Serena Di Sevo

mercoledì 6 febbraio 2013

La vittoria sul sole: Kazimir Malevič

DA UN "VORTICE DI RIFIUTI" ALLO "ZERO" DELLE FORME
"Mi sono ripescato dal vortice di rifiuti dell'arte Accademica e mi sono trasfigurato nello zero delle forme". K. Malevič 


SUPREMATISMO. 34 DISEGNI

[Nato il 23 febbraio 1878 Malevič è tra i protagonisti dei fermenti culturali e politici che portarono alla nascita delle avanguardie russe, poi confluiti nella rivoluzione d'ottobre. Oltre che come artista ebbe una profonda influenza anche per la sua attività teorica: una simultaneità d'azione e di pensiero che lo condussero alla fondazione del SUPREMATISMO, movimento all'interno del quale Malevič si mosse come maestro e come discepolo. La sua opera più famosa e controversa QUADRATO NERO, oltre a rappresentare il simbolo assoluto dell'ambiguità dell'arte del XX sec., l'insegna luminosa sul portone d'ingresso della crisi dell'arte è la rottura dell'amicizia secolare tra l'arte e suoi significati possibili che spinge gli artisti ad andare oltre l'oggettività attraverso un'interrogazione dell'invisibile. Si spiega così questa doppia natura di Malevič: il teorico e l'artista; e si spiega così la proliferazione simultanea di teorie estetiche promosse da "artisti/filosofi" in lotta contro il sistema; si spiega così la copiosità dei manifesti programmatici, di natura molteplice sì, ma sempre finalizzati alla promozione di un nuovo sistema di pensiero: per spingersi oltre le barriere imposte dal passato, per superare le inibizioni e i condizionamenti della tradizione, la vita non dovrà più essere l'oggetto dell'arte, ma l'arte dovrà essere al servizio della vita].

Origini di quel quadrato che sanno fare tutti: quadrato nero su fondo bianco
LA VITTORIA SUL SOLE

La Vittoria sul Sole, rappresentata al Teatro Luna Park di Pietroburgo il 3 e 5 dicembre 1913, era il primo passo verso la fondazione di un teatro futurista abolitore del buonsenso e del sentimentalismo, progettato da un gruppo di amici, Kručenych, Matjusin, Malevič, durante il "Primo Congresso panrusso dei rapsodi del futuro". L'opera venne stilisticamente concepita seguendo i dettami contenuti nel Manifesto tecnico della letteratura futurista (1912) di Marinetti. Grammatica, sintassi e lessico risultano distrutti e ricostruiti a caso, le parti del discorso stravolte, abolita la punteggiatura, negato il senso dei dialoghi. Il riferimento al futurismo risulta essenziale anche nei contenuti, palese infatti è il rimando ad un altro Manifesto futurista Uccidiamo il chiaro di luna! (1909):
È nostra, la vittoria.... [...] Tutto il nostro sangue, a fiotti, per ricolorare le aurore ammalate della Terra!... Sì, noi sapremo riscaldarti fra le nostre braccia fumanti, o misero Sole, decrepito e freddoloso, che tremi sulla cima del Gorisankar!..
Kručenych era autore del testo in versi, Michajl Matjušin della musica, Malevič della scenografia e dei costumi.
Nel I atto i Futuriani cercano di uccidere il passato, il vecchio mondo, attraverso la distruzione del Sole; nel II atto troviamo i Futuriani sopravvissuti alla distruzione dell'universo e accolti in un mondo nuovo, un universo capovolto, alla rovescia, fissato nell'immagine di fondo di un quadrato metà bianco e metà nero. Lo spettacolo era caratterizzato da azioni sconnesse, che confluivano nell'assassinio del Sole, simbolo della realtà oggettiva: è da qui che Malevič fa risalire il quadrato nero e l'idea stessa di Suprematismo.
Bozzetto della scenografia

Nel 1915, ad un anno di distanza dalla rappresentazione di Vittoria sul Sole, Malevič apprende dell'imminente pubblicazione di una nuova edizione dell'opera. Scrive una lettera in cui chiede che tra i suoi disegni della scenografia venga incluso anche lo schizzo del sipario all'atto della vittoria, perché, dice, tale disegno "avrà un'importanza decisiva per la pittura". In una lettera successiva invia il disegno da includere, è il disegno di un quadrato nero su fondo bianco: lo schizzo del sipario. Dall'esperienza di Vittoria sul Sole, Malevič ricava il manifesto pittorico del Suprematismo, infatti, quel quadrato è tra le 48 tele esposte nel 1915 alla mostra futurista 0,10 di Pietrogrado. Il quadrato nero su fondo bianco viene sistemato in un angolo, in alto, nella posizione tradizionalmente occupata dall'icona nella casa contadina. Un'immagine essenziale, uno zero che cancella tutto il caos delle forme oggettive, trasformandosi in un atto creativo, un sipario chiuso, un'immagine potenziale sui molteplici significati possibili.

Serena Di Sevo


0,10: Ultima mostra futurista, Pietrogrado 1915/16

venerdì 1 febbraio 2013

Arrenditi Dorothy!

After Hours di Martin Scorsese, 1985

Voglio solo tornare a casa...

Non capita soltanto ai depressi e agli scoppiati di trascinarsi in giro la notte a cercare chissà ché.. Chiunque può mettere il piede nella fossa nera dell'esistenza, nel lato oscuro dei propri desideri: così Paul Hackett (Griffin Dune) sedentario e abitudinario impiegato.
In un ristorante incontra una ragazza bionda, Marcy (Rosanna Arquette) che si congeda dopo una breve chiacchierata lasciandogli il numero di telefono. Naturalmente Paul la chiama e subito dopo si infila in un taxi per correre da lei, a Soho, uno dei quartieri più malfamati di New York.
È la classica discesa agli inferi, lo attendono dannati e peccatori di ogni specie.
Ma non è Dante Alighieri l'alter ego di Paul, bensì Dorothy nel mondo incantato di Oz.
Dorothy è povera, vive in una casa fredda e decrepita, la sua unica compagnia è il cagnolino Totò; eppure, dopo essere stata catapultata da un ciclone nel fantastico mondo di Oz a vivere mille avventure con i suoi nuovi e affezionati amici, riesce a pensare solo al momento in cui potrà tornare a casa. Ma insomma perché vuole tornare in quella casa di merda? "Tornare a casa". L'imperativo categorico che spinge al movimento. Uscire. Mille sono i significati. Allontanarsi da quanto è noto alla ricerca dell'ignoto. Rifiutare la propria casa, le proprie origini sperando di trovare qualcosa di diverso, alternativo. Una casa che sia "altro". Uscire da se stessi per non guardarsi in faccia e dentro 24 al giorno. Andare fuori a cercarsi a cercare. Portarsi dentro qualcosa in più, qualcuno che ci riscaldi, che sazi la nostra fame, un'immagine, un suono, una risata, una parola buona o una cattiva, la risposta a una domanda che ci tormenta. Scoprire che c'è qualcosa oltre alle pareti di casa propria, al televisore sul mobiletto, al pc sotto al letto...la metro, l'ufficio, il collega che parla di andarsene, sì presto lascerà il lavoro. Paul esce senza pensare da quella quotidianità per trovarsi catapultato in un universo sotterraneo abitato da ladri, fanatici, punkettoni, assassini, streghe...(le quattro streghe di Dorothy: I. Marcy, fatta fuori al primo atterraggio; II. Kiki, la scultrice, gli fornirà la chiave per tornare a casa, una statua di cartapesta, nonché la porta che lo riporterà a casa [quella del locale, il Berlin]; III. Gail, lo inseguirà con un camioncino dei gelati, e cercherà di intrappolarlo con un esercito di "scimmie" al seguito; IV. June, lo nasconderà ai suoi inseguitori costruendogli intorno la statua che lo riporterà a casa). Rotto l'incanto, verrà scaricato da un camioncino davanti all'ingresso del suo ufficio, tornando alla sua pallosissima vita, che non gli sarà mai sembrata così bella. Ma non passerà ancora molto dalla prossima pessima e necessaria avventura. Una conferma, un plauso all'esistenza piccolo-borghese? Non ci rende felici, ma ci protegge dal mondo reale, brutto, sporco e cattivo. Ma presto sarà di nuovo notte. E presto incontrerai una bionda.

Serena Di Sevo